Il ritratto nella pittura italiana del Rinascimento

È la prima edizione italiana del classico saggio di Jacob Burckhardt che ha fissato il paradigma dell’interpretazione del ritratto italiano del Rinascimento. Dall’inizio del secolo, infatti, la storiografia appare sostanzialmente ancorata alla produzione di lunghi elenchi di generi (ritratto classico, devozionale, ideale, di stato; e ancora: ritratto femminile, funebre, mitologico) e di quadri complessivi spesso puramente descrittivi, definiti perlopiù in base a orientamenti cronologico-ambientali larghi, del tipo “Il ritratto nella pittura del Rinascimento in Italia”, o inversamente all’immagine artistica su singoli ritratti all’interno della produzione di un artista, mentre più rari sono gli studi che tendono a una ricostruzione delle vicende del singolo ritratto e a un approfondimento dei suoi caratteri, oltre che artistici, compositivi ed espressivi ai fini di un riconoscimento del ritrattato e del suo ruolo nel contesto storico e culturale contemporaneo.
Parallelamente lo spessore teorico dei contributi appare condizionato univocamente dai paradigmi fissati da Jacob Burckhardt, a partire dal principio di rassomiglianza fino alla valutazione del concetto di memoria come corrispettivo dell’esigenza di immortalare. Pur tuttavia il riferimento al saggio di Burckhardt resta fondamentale per delimitare e finalizzare una problematica sul ritratto in termini di definizione autonoma del genere, che si fonda in un periodo cronologicamente determinato, caratterizzato da connotazioni culturali ben precise. Nel 1885 lo studioso così definiva il genere ritrattistico: «Un glorioso ramo della pittura, il cui esercizio oggi è divenuto assai raro, ma che non per questo può dirsi in procinto di estinzione, è la rappresentazione pittorica dell’individuo come singolo o come membro di un gruppo».